Qualche giorno fa sono entrato in una libreria Mondadori e ho iniziato a girare dentro al negozio. D’un tratto la mia attenzione è stata catturata dalla scritta che campeggiava sulla cima di uno scaffale: “romanzi femminili”. Mi sono chiesto: perché questi romanzi sono classificati come femminili? Quand’è che un romanzo è femminile? Magari esistono pure romanzi maschili… Ho continuato il giro ma no, nessuno scaffale con la scritta “romanzi maschili”.
Stereotipi duri a morire
Scorrendo i titoli dello scaffale, si trattava per lo più di romanzi in cui venivano affrontati temi come l’amore, i sentimenti, le passioni. E chi dice che solo le donne posso leggere questi tipi di libri? Chi decide che un romanzo sia adatto ad una ragazza anziché ad un ragazzo? E se un uomo volesse leggere un romanzo “femminile” o una donna un romanzo “maschile”? Senza contare che , secondo me, quella di classificare alcuni libri come “romanzi femminili” è una grossa limitazione anche per gli editori, che escludono a priori una fetta di mercato.
Altre catalogazioni
Oggi esiste una disciplina chiamata architettura dell’informazione che si occupa di organizzare, seguendo criteri logici e semantici, le informazioni presenti in un dato contesto. Per esempio, i vini possono essere catalogati in base alla regione di provenienza, in base al colore, in base alla gradazione alcolica, in base al prezzo e così via, sia che ci si trovi in un contesto fisico, come un negozio, ma anche virtuale, come un sito e-commerce.
Le librerie quasi sempre catalogano i propri libri in base ai generi letterari. Scegliendo la categoria “romanzi femminili”, però, la catalogazione viene fatta in base al lettore – primo errore di fondo – e questo comporta una discriminazione stereotipata – secondo errore. Per rimanere coerenti, allora, ed evitare spiacevoli situazioni, si potrebbe utilizzare una categoria – come succede all’estero – più neutra. Qualcosa del tipo: “romanzi sentimentali” o “romanzi d’amore” o “romanzi passionali”, che rimanda alla tipologia di libro e non di lettore. Che ne pensate?
Secondo me si dovrebbero chiamare solo “romanzi” senza specificare se sono d’amore, il lettore deciderà se siano essi di stampo sentimentale o passionale in base al racconto. Camillo Boito scrisse “Senso” che non era un romanzo sentimentale ma esclusivamente passionale come in “Madame Bovary” di Gustave Flaubert.
Ciao, interessante articolo e interessante tema, quello della classificazione, che penso faccia parte della scienza della bibliografia ma potrei sbagliarmi, non sono un esperto.
I romanzi femminili sono, a mio parere, l’evoluzione del genere rosa.
Anche io sono affranto, da come la cultura popolare sia stereotipata.
Ma la colpa non è del libraio o dell’editore.
E’ colpa della società in generale e delle sue ideologie, che fomentano delle tribalità soffocanti.
Però, per quanto a me questo addolori, è indubbio che (per via delle ideologie della nostra società) si creano delle barriere che esasperano le naturali divergenze di età, classe, genere delle persone.
Ti faccio degli esempi.
Tutti i giornali scandalistici sono sfogliati da donne (o aspiranti tali).
I loro temi, gossip sui matromini delle principesse, i tradimenti dei vip, i bebé, sono di interesse esclusivo di donne poco colte o di donne in un momento di particolare svogliatezza.
Solo io, in una sala d’aspetto, sfoglio GENTE, e solo per interesse astratto.
La stessa cosa per riviste come “Donne e Motori”, GQ, e Playboy.
La maggior parte dei lettori sono uomini, lo deduci dal fatto che ci sono sempre tette e cosce e belle donne e si parla di cose tecno competitive, moto, auto, voli nello spazio, sport.
Il target sono uomini poco colti o tremendamente svogliati.
Romanzi rosa
Sono romanzi di genere, ovvero che devono seguire un plot prevedibile e standardizzato, dove l’eroina è al centro dell’attenzione, ci sono uomini bellissimi con cui ha a che fare, e il lieto fine prevede l’amore (intendo l’amore di coppia, quindi sesso e romanticismo).
Se vuoi, puoi chiamarli “romanzi d’amore” che poi è il tema cardine da cui è nato il genere romanzesco, credo.
Esempi che hanno un loro valore sono Cime Tempestose, di Emily Bronte. Il più famoso è 50 scale di grigio, che resta commerciale ma travalica il genere rosa.
Ne ho letto uno, ma in genere li trovo troppo narcisistici.
Non concordo con Argangela.
Senso di Boito e la Bovary non piacerebbero alle lettrici di 50 scale di grigio.
La Bovary finisce suicida, se ricordo bene, e Senso può piacere perché lei si vendica e fa condannare a morte l’amante, ma non è il finale che ci si aspetta da un romanzo d’amore.
Marguerite Duras e Anais Nin, sono letteratura erotica, ad esempio, e per me sono alta letteratura, o meglio per me scavano nell’animo umano, anche se da una prospettiva femminile.
I romanzi maschili esistono, ma si chiamano d’azione o avventura e di guerra.
Probabilmente il pubblico è più eterogeneo, ma la prevalenza è maschile.
Quante donne credi che si vogliano leggere Rambo? (Il libro esiste, non me lo invento) o i tre Adolf? (anche questo è un titolo vero!) i libri in cui la gente si spara e si ammazza e c’è un eroe che alla fine vince, sono molto noiosi, per le donne.
Anche io, li trovo molto noiosi, la violenza giustificata dall’etica la trovo ipocrita.
CI sono generi trasversali: fantascienza, mistero, fantasy, penso anche il genere giallo.
Per riassumere: non sono un esperto, deploro anche io le classificazioni di genere, ma l’origine del problema non sta negli editori e librerie, che fanno una scelta pragmatica, ma dagli ottusi limiti delle ideologie in cui siamo tutti immersi.
Grazie dell’interessante riflessione Yuri!
Secondo me il linguaggio svolge un ruolo molto importante nel plasmare la realtà. Per esempio, se si continua a mantenere l’etichetta “romanzi femminili”, gli uomini saranno portati ad evitare quel genere, alimentando lo stereotipo che nel tempo si è affermato su questa particolare tipologia di libri. A volte bastano piccoli accorgimenti per correggere il tiro, anche se – come disse Einstein – “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.