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Parole burocratiche, perché è meglio non usarle

Nelle nostre interazioni con la Pubblica Amministrazione ci sarà capitato sicuramente di imbatterci in parole burocratiche, ormai sempre più rare nel linguaggio comune ma ancora presenti in ambito istituzionale. Qualcuno ha anche definito il loro uso coniando il termine burocratese, come se si trattasse di una vera e propria lingua. Ma perchè si continuano ad utilizzare queste forme arcaiche, che sono diventate così distanti dal nostro modo di comunicare?

Dal linguaggio giuridico al linguaggio burocratico

Le parole burocratiche utilizzate nella Pubblica Amministrazione sono un retaggio del linguaggio giuridico, quello cioè con cui vengono scritte le leggi. Nei decenni passati la Pubblica Amministrazione si è limitata a ricalcare quel modo di comunicare, destinato prevalentemente agli addetti ai lavori e non al cittadino, copiandone il linguaggio, la sintassi e la struttura: una forma piuttosto inefficace, se il fine ultimo delle istituzioni è quello di raggiungere il maggior numero di persone possibile.

Il vocabolario fondamentale di Tullio De Mauro

In “Guida all’uso delle parole”, il linguista Tullio De Mauro parla di un vocabolario di base della lingua italiana che comprende circa 7.000 parole: 2.000 fanno parte del vocabolario fondamentale (le parole più usate); 2.700 fanno parte del vocabolario di alto uso e 2.300 rientrano nel vocabolario ad alta disponibilità. Se vogliamo quindi scrivere un testo che sia comprensibile alla maggior parte della popolazione, dobbiamo sforzarci di utilizzare le 7.000 parole che fanno parte del vocabolario di base. E questo vale sia nell’ambito della comunicazione istituzionale, ma anche nella comunicazione politica, nel marketing e in ogni tipo di comunicazione che ha come obiettivo quello di raggiungere molte persone.

Parole tecniche vs parole burocratiche

Ma come facciamo a comunicare alcuni argomenti, spesso complessi, della Pubblica Amministrazione utilizzando solo le parole del vocabolario fondamentale? Se l’argomento è molto complicato possiamo mantenere le parole tecniche, eliminando però quelle burocratiche. Che differenza c’è? Le parole tecniche sono quelle che non possono essere sostituite senza generare un discorso ancora più complesso (ad esempio, parole come decreto legge). Le parole burocratiche, invece, possono essere sostituite con parole di uso comune. Perchè, dunque, invece di utilizzare espressioni come qualora, conferire, nelle more di, a decorrere, afferenti, emolumenti, non le sostituiamo con se, dare, in attesa di, a partire, riguardanti, pagamenti, e così via?

Il burocratese allunga le distanze

Continuare ad utilizzare il linguaggio burocratico comporta solo un esercizio di stile che si pone in aperto contrasto con il nostro obiettivo principale: farci capire dalla maggior parte delle persone. L’uso del burocratese, inoltre, allunga le distanze tra gli interlocutori e non crea le premesse per la costituzione di un rapporto sereno e di fiducia tra cittadino e Pubblica Amministrazione. Occorre, quindi, uscire dall’autoreferenzialità e aprirsi, per assicurare innanzitutto una maggiore trasparenza e il diritto del cittadino a ricevere un’informazione corretta e funzionale, ma anche porre le basi per migliorare e rendere più efficiente il funzionamento della macchina amministrativa.

Fabio Brocceri
Fabio Broccerihttps://www.fabiobrocceri.it
Sono un giornalista, addetto stampa e comunicatore pubblico. Il mio lavoro consiste nell'aiutare enti, imprese e istituzioni a comunicare meglio. Clicca qui se vuoi saperne di più oppure seguimi sui social.

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