“No comment sulle voci di un possibile…”. “L’azienda si è trincerata dietro un no comment”. “Avviso di garanzia per XXX, la sua reazione: no comment”. Quante volte abbiamo letto titoli di questo genere sui giornali o ascoltato notizie di questo tipo in tv? Da molto tempo la locuzione no comment è stata importata nella nostra lingua dall’inglese e viene usata di frequente nel linguaggio giornalistico. Ma è sempre conveniente usarla nell’ambito delle media relations?
Perché si dice “no comment”?
Il no comment, detto per rispondere ad una domanda in cui viene chiesto un parere o chiesto di prendere una posizione in merito ad un fatto, è diventato una sorta di via di fuga da utilizzare quando si è in difficoltà e non si può – o non si vuole – esporsi. Viene abusato dai politici, ma anche dalle aziende, soprattutto in situazioni di crisi (un’indagine della magistratura sul proprio conto, un prodotto che ha provocato danni agli utilizzatori, ecc.).
Perché è sbagliato
A volte può succedere che effettivamente si abbia ben poco da dire o non si abbia voglia di rispondere, ma utilizzare la formula “no comment” non è la scelta più saggia. Quando si ha a che fare con la stampa, trincerarsi dietro un no comment significa chiudere ogni dialogo tra l’organizzazione – o il personaggio che si rappresenta – e i mezzi di informazione, manifestando in maniera esplicita la volontà di non collaborare. Non solo. Utilizzando questa espressione, si dà l’impressione che si stia nascondendo qualcosa, che ci sia qualcosa di opaco, e questo spingerà il pubblico a fare delle inferenze, per esempio che le tesi che screditano l’organizzazione siano corrette, in quanto questa non ha voluto replicare o proporre una propria versione dei fatti. Inoltre, il giornalista non si accontenterà del no comment ricevuto e cercherà informazioni altrove, con il rischio di peggiorare la posizione dell’organizzazione o del personaggio che si rappresenta.
Qualsiasi cosa, ma non il “no comment”
Ci sono dei casi in cui l’organizzazione comunica all’addetto stampa che non intende rispondere ai media e quest’ultimo deve trovare il modo per gestire questa situazione a dir poco spiacevole. Anziché confermare il no comment, si possono utilizzare delle “scappatoie”. Per esempio, si può dire che la politica aziendale non permette di rivelare notizie su procedimenti in corso o che per questioni di privacy non è possibile farlo. O ancora, potrebbe succedere che un giornalista chieda di commentare un fatto di cui non si è venuti ancora a conoscenza. Se il non conoscere qualcosa non compromette la reputazione, si può rispondere con delle frasi del tipo:
Sono appena rientrato/ è appena terminata una riunione / sono stato impegnato in questa cosa…
Un’altra strategia consiste nel prendere tempo. In questo caso le dichiarazioni potrebbero essere del tipo:
Abbiamo avviato una verifica interna per far luce su quanto accaduto…Ho appena appreso da voi questa notizia e dobbiamo verificarla…
Vi farò sapere appena avrò tutti gli elementi per valutare il caso.
In ogni caso, mantenere un atteggiamento collaborativo è fondamentale ed è alla base delle media relations. Se i giornalisti percepiscono un clima di fiducia e trasparenza, si dimostreranno più propensi a rappresentare le ragioni della controparte all’interno dei loro articoli o servizi.
Pensateci bene, dunque, la prossima volta che istintivamente decidete di rispondere con un secco “no comment”!