Come si è evoluta e “adattata” la radio con l’arrivo delle tecnologie digitali? Tra podcast, dirette via smartphone e redazioni sempre più multimediali, come è cambiato il lavoro degli speaker? Abbiamo fatto una chiacchierata con Fabrizio Gaias, giornalista radiofonico con una laurea in lettere antiche alle spalle e un master in editoria multimediale, oggi caporedattore news a Discoradio, emittente del gruppo RDS, dopo un passaggio a Radio24.
Fabrizio, quando è nata la tua passione per la radio? Che ricordi hai di Radio Press, l’emittente locale cagliaritana in cui hai esordito?
La mia passione per la radio è iniziata da piccolo, con il ricordo di mia mamma che ascoltava radio Montecarlo mentre stirava. Allora la radio monegasca era l’unica alternativa alla Rai e mia mamma ascoltava il mitico Awanagana. Più avanti, crescendo, la radio l’ho sempre ascoltato, da Radio Rai (soprattutto la Due, quella giovane, quella del programma musicale del pomeriggio in stereofonia) alle emittenti regionali e locali, localissime. E infine il debutto a Cagliari con Radio Press, che ora purtroppo non esiste più. Bussai e mi aprirono. E iniziai dal bassissimo: dalle interviste in strada sui fatti del giorno, alle inchieste universitarie, alle recensioni dei libri. Era tutto molto eccitante e ringrazio davvero quegli anni per tutto quello che mi hanno dato.
Com’è cambiato il modo di fare radio rispetto ai tuoi esordi? E quanto ha inciso la tecnologia?
È cambiato tantissimo. A Radio Press uscivo a fare delle interviste con un registratore a cassette e un microfono con il cavo. Arrivato in sede quel materiale andava riversato, magari su minidisc, editato in maniera semi-manuale, e solo allora era pronto per la messa in onda. Un lavoro lungo e certosino.
Anche andare in onda in diretta non era semplicissimo. Ora chi va fuori ha un flashmic, che è un microfono con memoria incorporata che colleghi poi al pc, scarichi ed editi al volo con qualsiasi programma e sei pronto per la messa in onda. E in emergenza puoi usare lo smartphone: ti permette di registrare e inviare al volo un contributo oppure, con una app, ti permette di collegarti alla regia e di andare in onda in diretta. Ora puoi fare tutto, ma avere l’esperienza della manualità degli esordi aiuta.
A Discoradio ti occupi delle news, coordinando ben 12 edizioni quotidiane. Come selezionate le notizie più rilevanti da mandare in onda?
Io e il mio gruppo di lavoro realizziamo l’offerta informativa dell’emittente: 12 edizioni quotidiane autoprodotte, dalle 6,30 del mattino alle 11,30 e dalle 15,30 alle 20,30, sempre in diretta. Un lavoro abbastanza complicato perché in pochi minuti dobbiamo coprire un territorio vasto e densamente popolato come quello raggiunto dal nostro segnale: Piemonte, Lombardia, una parte di Emilia e poi un piccolo territorio ligure e Aosta con il suo circondario. La selezione è guidata da criteri base dati dalla caratteristica della radio. Innanzitutto parliamo di un notiziario per il 90% locale: i fatti più importanti dell’area coperta devono esserci tutti e abbiamo gli strumenti giusti per poterli trovare, come le principali agenzie e l’abbonamento completo a tutti i giornali in digitale. Cerchiamo di limitare l’invadenza della cronaca nera, che ci piace poco, diamo molto spazio a cronaca bianca e notizie di servizio, ma siamo molto versatili. In questo periodo, vista l’incidenza sul nostro territorio, le nostre news sono quasi completamente dedicate al tema del coronavirus. E seguendo questo filone abbiamo anche creato e messo in onda una nuova rubrica che si chiama ‘Faccio la mia parte’, dedicata alla città che resiste, a tutte quelle piccole e grandi iniziative che ci permettono di andare avanti in un momento come questo. Lo stile è veloce, senza fronzoli, immediato.
Non solo. Siamo anche una redazione social: la nostra attenzione giornalistica verso i fatti locali, nazionali o internazionali ha uno sbocco nell’account Twitter della radio, che viene visto come una prosecuzione naturale di quello che facciamo in onda. Oltre a ciò, coordino (e coordiniamo) i contenuti dei conduttori della radio. Contenuti che poi finiscono su altri canali social: Instagram e Facebook.
Sempre alla redazione spetta il compito di creare e mandare in onda i notiziari della neonata Dimensione Suono Soft, che copre la Lombardia. Per la differenza di illuminazione del segnale tariamo i contenuti concentrandoci su questa regione e sulle sue città.
Come vi siete organizzati per far fronte all’emergenza coronavirus? Alcune emittenti, per esempio, sono riuscite a produrre il telegiornale direttamente da casa…
Dall’inizio dell’emergenza, che a Milano è stata avvertita più che a Roma, l’azienda ci ha guidati nella scelta della situazione più comoda, e più sicura, per offrire con costanza lo stesso prodotto di sempre in qualità e quantità. Le figure non direttamente collegate all’onda e alla presenza in studio hanno iniziato a lavorare in modalità smart, con la strumentazione offerta dalla Radio. In sede sono rimasti soltanto i conduttori e una parte della redazione: chi fa il turno del mattino e chi fa il turno della sera. Chi fa il turno centrale, di raccordo tra i due, lavora da casa in modalità smart. Con l’acuirsi della crisi, oltre a chi fa il turno centrale, anche chi è in turno di sera fa, uno o due giorni a settimana, lavoro da casa. Chi lavora da casa va regolarmente in onda come se fosse in studio e – giuro – nessuno si accorge della differenza. Quando siamo in sede, i giornalisti e i conduttori usano studi differenti e ambienti pre-diretta separati.
C’è stato un momento, un risultato atteso, un riconoscimento improvviso, che ti ha fatto sentire particolarmente orgoglioso del tuo lavoro?
Sì, e alcuni li ricordo in modo particolare. Il primo a Radio24, quando scelsero me per lavorare nella redazione di un programma di punta. Era un ottimo attestato di fiducia. Il secondo a Discoradio, quando mi chiamarono a guidare la redazione locale, dandomi credito e libertà.
E quella volta che hai commesso qualche pasticcio? Come ne sei uscito?
Con tante scuse, riconoscendo l’errore e non cercando scusanti. Bisogna avere l’umiltà di non credersi infallibili.
Una volta c’erano solo i jingle e i clock radiofonici che permettevano la riconoscibilità dell’emittente. Poi arrivarono i loghi e la parte visual. Adesso con i social e il web si entra direttamente in studio. Il destino delle emittenti, secondo te, sarà caratterizzato da una convergenza multimediale (come le cosiddette media company) oppure ognuna manterrà la sua anima prevalente?
Io credo che la radio ormai non possa fare a meno delle componenti che via via si sono aggiunte. Il core business resta sempre la radio, quella dello studio radiofonico, dove ci sei tu e il microfono davanti a te, e quanto più sei capace di immaginare chi hai di fronte, tanto più riesci a trasmettere. Accanto a questo però ci sono i social, le dirette fatte dallo studio sulle varie piattaforme, la visual radio. Non sono elementi negativi: sono elementi accessori che amplificano la presenza e la notorietà di un mezzo, soddisfano la curiosità di chi ascolta che sempre più vuole conoscere e sapere cosa e come accade, fanno conoscere e umanizzano sempre più i conduttori, rendendo familiare il prodotto. L’integrazione di piattaforme e modalità di trasmissione del prodotto sarà parte del futuro (lo è già del presente, in alcuni casi).
Cosa pensi dei podcast? Continueranno ad essere marginali, rispetto alla fruizione standard dei programmi radio o dovremo aspettarci una loro sempre più importante diffusione?
Il podcast è un altro elemento destinato ad avere sempre più rilevanza. E non parlo solo della fruizione di un prodotto dopo la messa in onda (per il riascolto in un secondo tempo): parlo anche di creazioni apposite, curate dalla radio, che si affiancano al classico contenuto in diretta. La credibilità della radio e dei suoi conduttori per una offerta di podcast a largo spettro.
Un’altra delle tue più grandi passioni è Milano. Questa città può essere considerata ancora oggi la capitale italiana della comunicazione italiana? La consiglieresti ad un neolaureato che intende muovere i primi passi in questo mondo?
Milano è la città in cui ho scelto di vivere ormai 15 anni fa. Ed è indiscutibilmente la capitale italiana della comunicazione. Dire radio in Italia, anche oggi, vuol dire Milano. Qui la Rai è marginale ma i principali network (eccetto RDS) sono nati qui come radio locali e qui si sono sviluppati fino a diventare quello che ora sono. Qui c’è buona parte della tv, qui le agenzie di comunicazione e le case di produzione audiovideo. Un neolaureato può serenamente scegliere Milano se però considera che serve, sempre e comunque, tanta gavetta, serve bussare a tante porte, serve avere umiltà e voglia di imparare. I social ci hanno fatto credere che basti poco per essere bravi e famosi. Purtroppo la realtà, specie in media con base tradizionale come la radio, è diversa.