Perché la comunicazione della Lega e del Movimento 5 stelle funziona mentre quella del Partito Democratico funziona meno? Cosa manca alla comunicazione del PD? È una domanda che da professionista mi sono sempre posto e oggi voglio provare a individuare quali sono le criticità della comunicazione PD e a dare dei suggerimenti per cercare di migliorarla. Ecco la mia analisi.
1. Emozione vs razionalità
Come già accennato in altri post su questo blog, oggi i confini di separazione tra elettore, cliente e seguace sono molto più sfumati rispetto al passato. Non c’è più un’appartenenza forte come, invece, avveniva fino a qualche decennio fa: oggi l’elettorato è fluido e le grandi ideologie del passato hanno iniziato a manifestare forti segnali di crisi. La domanda da cui partire, quindi, non può essere che questa: cosa spinge un cittadino a votare per un partito anziché per un altro?
A tutti noi sarà successo quasi sicuramente di doversi confrontare su temi politici in famiglia, con gli amici o con semplici conoscenti. Qualche sera fa, per esempio, una persona con cui ero a cena – un libero professionista – ha concluso un confronto con questa frase:
“Sì, va bene, ma quando c’era Berlusconi io guadagnavo di più”.
Immediatamente mi sono reso conto che sarebbe stato inutile spiegare razionalmente che in un’attività imprenditoriale le variabili che determinano il successo economico sono varie. Perché? Perché a guidare quella convinzione non era la ragione, ma l’emotività. L’emotività è il fattore principale che spinge gli italiani – in particolare – a sposare un’idea. Il tema dell’immigrazione, per esempio, viene associato all’emozione della paura, paura del diverso, paura dell’invasione dello straniero, e poco importa se le statistiche dicono che non è in atto nessuna invasione: la percezione rimane quella. Certo, c’è stata una parte della popolazione che ha cercato di contrastare questa deriva, ma cosa ha prevalso maggiormente in questi ultimi anni, la ragione o l’emotività?
2. Complessità vs semplicità
Immaginiamo adesso la routine quotidiana di una famiglia tipo. Ogni mattina ci si sveglia, si prepara la colazione, si portano i figli a scuola, si va a lavoro, si pensa alla cena, si fa la spesa… Quanta voglia hanno le persone di sentire argomenti poco familiari e quanta attenzione possono dedicare a questioni complesse? Le persone hanno bisogno di qualcuno che risolva i problemi e le soluzioni ai problemi devono essere rapide, semplici e facili da ricordare: devono rimanere impresse. Per cui non basta dire “creeremo lavoro” o “il lavoro è la nostra priorità”, ma potrebbe essere vincente, per esempio, introdurre qualche sound bite come il “lavoro di cittadinanza”. Non è necessario scrivere pagine e pagine di programmi che nessuno leggerà (nemmeno chi li ha scritti o scopiazzati). Quanta probabilità c’è che questi brevi slogan funzionino? Tanta. Per esempio, i giornalisti saranno ben felici di fare titoli e sottotitoli utilizzando queste parole semplici e univoche e le persone non avranno difficoltà a ricordarle, grazie alla ridondanza.
3. La personalizzazione e il volto “umano” della politica
Sempre come conseguenza di quanto detto sopra, le persone non sono molto propense a partecipare ai circoli territoriali. La cittadinanza attiva, purtroppo, oggi non è più così diffusa come un tempo, quando i luoghi deputati al dibattito politico erano i circoli. Oggi la comunicazione e la partecipazione politica è mediata, che ci piaccia o no. Il Partito Democratico sta ancora mantenendo una struttura organizzativa novecentesca, ma che adesso necessita quantomeno di essere ripensata. Le persone, spinte anche dai ritmi dei media, manifestano inoltre il bisogno di identificarsi con un leader, con una figura che si fa promotrice di certi valori, una persona carismatica, alla stregua di un vip dello spettacolo. Un vip, però, che non perde il contatto con la realtà: deve essere percepito, infatti, come una persona che appartiene al “popolo”, e per questo va a fare la spesa, cucina, mostra la sua sua vita quotidiana sui social, ecc. La comunicazione del PD ancora fa fatica ad accettare tutto ciò, ma è il linguaggio con cui bisogna comunicare oggi per rendere un messaggio veramente efficace. E proprio mentre scrivo questo articolo, per esempio, il segretario Nicola Zingaretti ha postato una foto con suo fratello, l’attore Luca, volto del popolare commissario Montalbano, mentre prendevano un aperitivo: forse un primo tentativo verso questa direzione.
4. Mancanza di strategia comunicativa e coordinamento
Nella storia degli ultimi anni, il Partito Democratico non è mai stato in grado di imporre i temi all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. Quasi sempre ha dovuto “subire” temi imposti dagli altri partiti politici, che invece sono stati abili nello scegliere quelli a loro più congeniali e su cui hanno costruito narrazioni efficaci. Questo è dovuto sia a causa della natura stessa del PD, che promuove un certo pluralismo di voci, ma anche ad un mancato coordinamento sul fronte della comunicazione. A guidare la comunicazione politica del partito sono stati quasi sempre politici e non professionisti, sottovalutando l’importanza degli esperti in comunicazione, dando come l’impressione che quella del responsabile della comunicazione sia nient’altro che una casella da riempire: un ruolo di poco peso che chiunque, anche senza una professionalità specifica, è in grado di ricoprire.
Anche il semplice coordinamento degli esponenti politici del PD è lasciato alla libera iniziativa. Deputati, senatori, ministri e militanti vari rilasciano spesso dichiarazioni alla stampa, dicono la loro sui social o vanno ospiti nelle trasmissioni e un minimo di coordinamento è indispensabile per far sì che il cittadino-elettore percepisca in maniera univoca un’idea o una posizione politica. Per esempio, potrebbe essere utile proporre – nelle famose “chat di gruppo” dei compagni di partito – un tema da “spingere” sui media per tutta la settimana, in modo da provare ad attirare l’attenzione dei media e “governare” il dibattito politico.
5. Formazione mediatica dei candidati
Proprio per questa esigenza di un’esposizione mediatica pluralista è importante avviare un’azione di formazione dei candidati e dei politici che ricoprono cariche a vario titolo, per imparare come gestire un’intervista, come parlare in pubblico, come utilizzare i social, come affrontare le situazioni di crisi, ecc. Non tutti, infatti, sono avvezzi alla telecamera, ai giornali o al web e l’improvvisazione può alimentare cortocircuiti comunicativi che mettono a repentaglio il lavoro di tanti che lavorano nelle retrovie del partito. Arie de Geus, un dirigente aziendale, oratore e scrittore dice:
“La capacità di apprendere più velocemente dei vostri concorrenti potrebbe essere il solo vantaggio competitivo che avete”.
Imparare a cambiare, quando i contesti e le condizioni ambientali cambiano, è l’arma più potente per vincere una competizione.